mercoledì 10 gennaio 2018

Le notti difficili - Dino Buzzati


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"Il Babau era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o illusione: anche se vero. Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace."


Edita nel 1971, un paio di anni prima della morte, "Le notti difficili" è l'ultima raccolta di racconti che non solo funge da amaro epitaffio per lo scrittore, ma si configura come summa della poetica che ha attraversato altri racconti di differenti raccolte nonché l'opera celeberrima per la quale viene ricordato: "Il deserto dei Tartari".
Non avrebbe avuto senso eseguire un elenco freddo e statico dei racconti, con annessa spiegazione; forse neanche una cernita atta a discriminare i racconti più riusciti da quelli solo abbozzati renderebbe giustizia a un lavoro che paga l'incombente necessità di partorire tutte le idee fin lì inespresse prima che la morte faccia il suo corso.


"La ragazza innamorata soffriva tanto, che perfino il demonio se ne impietosì. Andò da lei e le promise l'amato. A una sola condizione: che mai, per tutta la vita, neppure con una semplice carezza, lei lo tradisse; pena, la morte sua, di lui e dei figli. Singhiozzando, fu costretta a rinunciare."

COMMENTO A CURA DI



Ma quindi dove stiamo andando?
Sai, non sei troppo rassicurante con quel tuo silenzio imperituro e il passo lento e inesorabile che ti contraddistingue da sempre.
Io quelle scatole le ho già viste, ma dove?
Sì, in un tempo oramai lontano; echi di un passato in cui gli anni scappano via e pensiamo sempre che ci sarà un domani a rimediare, a riscattare momenti perduti in cui saremmo dovuti esser presenti.
Quante promesse che facciamo a noi stessi, sollevati dalla leggerezza del momento a corroborare parole che suonano false e vaghe.
Sai, cara Morte, alle volte siamo un po’ pavidi nell’andare a prenderci quel che vogliamo; meglio scialacquare i migliori anni della nostra vita in attesa che qualcosa cambi la confortante monotonia dei giorni tutti uguali.
E così ho ucciso il Babau...non era mia intenzione accoltellarlo, tenero spauracchio della mia infanzia, testimone ultimo di irripetibili giorni.
Non voglio andarmene. 
Non ho lasciato nessun segno su questa terra; nessun ricordo che possa rendere meno greve la dipartita.
Ricordi la contestazione globale? Tutti quei giovani a inveire contro noi vecchiacci, dinosauri da accantonare per fare posto ad altra gente che coverà sogni gloria e fanfare ad accoglierli all’ingresso?
Le fanfare non sono mai esistite; a meno che tu non mi voglia fare il favore di strombazzare un pochettino prima dell’ultimo saluto.
No, eh?
Mi sembra giusto.
Perché dovrei odiare i giovani e la loro stupidità, quando io per primo ho vissuto il loro tempo, goduto gli antichi giorni?
Rivedo i miei primi passi su quel prato; l'odore dell'erba sul finir dell'estate; interminabili battaglie con i pellirossa a ravvivare un frammento d'esistenza in cui pensavo di poter correre per sempre: vivere nel momento, nessun passato alle spalle e il futuro ancora in divenire.
Lo capisco, è il momento di spegnere la luce e lasciarsi alle spalle anche quest'ultimo corridoio.
Morte, nelle mie debolezze ho perso tutto e i rimpianti continuano a perseguitarmi; ma siamo uomini ed è nella nostra natura perseguire la felicità nell'eterna incertezza. 
E comprendo che il tempo è finito.
Ora, Contessa, la prego, prenda la mia mano e mi porti lontano.





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