sabato 12 maggio 2018

Dino Buzzati e l'arte del racconto

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"Ha vissuto tutta la vita cercando di adattare una realtà ingombrante, rumorosa e ottusa alla sua fantasia disciplinata. Una battaglia contro la banalità quotidiana, che nel suo pessimismo sapeva persa in partenza."



Per la prima volta in tutta la mia vita ho sentito la necessità fisiologica di recuperare tutto il possibile di questo autore, purtroppo sottovalutato ai giorni nostri e per fortuna ristampato da Mondadori nella sua collana "Oscar Mondadori", riconoscibile dal famigerato angolino mancante (le prime tre immagini sono esplicative, in tal senso).




Il primo aspetto che mi viene da considerare è l'accessibilità dell'autore: ogni novella di qualunque raccolta gode di una chiarezza espositiva che ha dell'invidiabile, senza che il linguaggio si semplifichi per venire incontro al lettore.
Buzzati si distingue per una prosa pulita e scorrevole: nessuna ricerca del virtuosismo stilistico o sintattico; si raggiunge persino eleganza in alcuni frangenti, tanto da soddisfare anche il fruitore più esigente.
La semplicità di prosa diventa il jolly principale nella gestione del fantastico, il quale è quasi sempre intessuto con meticolosità nel contesto realistico e diventa il naturale apripista per la riflessione interiore o il messaggio da veicolare durante l'incedere della storia.
Il caleidoscopio vivacissimo dell'autore non si preclude mostri in soffitta, squali leggendari dalla mortuaria fama, fantasmi che ritornano dal passato o addirittura la stessa Morte che irrompe nella vita dei vivi; per non parlare del diavolo che viene a discorrere con te durante il guasto dell'ascensore, proiezioni del tuo Io giovane a rinfacciarti quello che sei diventato, portali dell'inferno che si aprono nella metropolitana di Milano e santi con il desiderio di tornare mortali per riassaporare l'ebrezza della vita.
La fantasia di Buzzati è sterminata e mai sopra le righe; incredibilmente capace di mettere in gioco l'emotività e la morale del lettore con una gestione del fantastico sobria nel suo essere eclettica su più livelli.
L'arte del racconto diventa anche un grande momento interiore in cui sensi di colpa e ambizione dell'elevazione morale combattono tra loro sino a eguagliarsi: un profondo male di vivere scorre sotterraneo alla miriade di invenzioni che popolano i suoi scritti, senza che questo possa essere sedato dai buoni propositi e i tentativi - a volte riusciti, altre volte no - nell'intraprendere un sentito percorso di redenzione.
In Buzzati il fantastico diventa spesso metafora o allegoria; quasi sembra che possa tranquillamente non esistere, il fantastico, tanto le storie diventano minacciosamente vicine a noi per un'allusione o quella tacita promessa che si evince nel non detto.
Cosa lascia Buzzati in eredità a noi lettori?
Un grande invito alla ricerca d'umanità in un mondo sì poco propenso a concederla, ma con ancora la possibilità di riscattarsi nel momento in cui, passati gli ardori di gioventù e l'inesperienza a chiamare in causa peccati ed errori, arriva il momento di pagare il prezzo.



PICCOLA GUIDA

Come orientarsi nella miriade di raccolte che hanno visto Buzzati alla ribalta nella dimensione del racconto breve?

Gli interessati al tema della morte e il rimpianto possono reperire "Il reggimento parte all'alba" e "Le notti difficili": il primo titolo, pubblicato postumo nel 1985, affronta i temi suddetti attraverso le prospettive di individui differenti per vocazione e status sociale, ma accomunati nell'ultima destinazione da raggiungere; la seconda raccolta, questa considerata l'ultima ufficiale prima della morte dello stesso autore, che risale al 1972, è più una miscellanea poco organica di racconti compiuti e spunti vari (alcuni invero già sfruttati in racconti antecedenti alla raccolta).
Indimenticabile "Ottavio Sebastian, vecchia fornace", commovente ricerca della madre prima che scocchi l'ora fatale - uno dei racconti centrali della prima raccolta - e assolutamente imperdibili "Contestazione globale", "Plenilunio", "I giorni perduti" e "Il babau", questi ultimi raccolti all'interno del secondo titolo chiamato in causa.
Entrambe le raccolte condividono la medesima visione poetica e struggente dell'arrendevolezza umana di fronte al mistero più grande.

I lettori più guardinghi - quelli che non si fidano a pelle, per intenderci - possono puntare in tutta tranquillità "La boutique del mistero", raccolta di racconti che lo stesso Buzzati considera la summa definitiva della sua poetica.
La raccolta spazia dal fantastico al quotidiano per venire incontro all'esigenza di tutti; la relativa brevità del volumetto, infine, garantisce un'esperienza di lettura tanto appagante quanto contenuta nelle tempistiche.
E la presenza di racconti come "I due autisti", "Il Colombre", "L'uccisione del drago", "Sette piani", "Sette messaggeri", "Inviti superflui" e "Il mantello" sono più che sufficienti per decretare la grandezza di uno scrittore estremamente sottovalutato nel panorama letterario italiano.

Per il lettore che vuole subito affrontare il lavoro universalmente riconosciuto da pubblico e critica come il più emblematico e rappresentativo, tolto "Il deserto dei tartari", romanzo che fa storia a sé, non si può non andare a parare sui "Sessanta racconti": l'autore vinse nel 1958 il Premio Strega e la raccolta stessa gode di una notevole varietà di temi e approcci stilistici che ben rappresentano il talento dello scrittore bellunese.
La prima parte della raccolta attinge da "Paura alla scala", "Il crollo della Baliverna" e "Sette messaggeri", tre raccolte pubblicate in precedenza e, probabilmente, risulta essere l'apice della stessa; la seconda parte indugia maggiormente sull'indagine metaletteraria dello scrittore in relazione all'arte dello scrivere e, tolte alcuni eccezioni particolarmente felici - "La corsa dietro il vento", "Lo sciopero dei telefoni" -, una lieve ridondanza di tematiche è riscontrabile.
Interessante osservare, infine, che "La corazzata Tod", racconto di chiusura, riproponga con differente forma la stessa poetica de "Il deserto dei tartari".







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